Enola Holmes e la paura di osare: si poteva e si doveva fare di più

Enola Holmes e la paura di osare: si poteva e si doveva fare di più

di Valentina Isernia

È approdato su Netflix Enola Holmes, il film tratto dalla serie di romanzi The Enola Holmes Mysteries di Nancy Springer che la pandemia COVID-19 ha portato dal grande al piccolo schermo.

La trama

Diretto da Harry Bradbeer, il film è incentrato sul viaggio di un’eroina (finalmente!) alla ricerca della madre, Eudoria Holmes, scappata senza lasciare – apparentemente – tracce.
Per Enola sarà un viaggio alla ricerca di se stessa, contrastato dall’austero fratello Mycroft (Sam Claflin, Finnik – Hunger Games) e sostenuto dietro le quinte da Sherlock (Henry Cavill, The Witcher, L’uomo d’acciaio), dal quale la ragazza ha ereditato intuito e intelligenza.

Se il fine ultimo di Mycroft è quello di rinchiuderla in un collegio per “signorine”, quello di Sherlock è aiutare nelle indagini per la ricerca della madre ma, soprattutto, trovare il modo di slegarla dalle redini in cui vorrebbe imbrigliarla il fratello maggiore, per permetterle di vivere come la madre le ha insegnato: da convinta femminista dell’Ottocento, amante della filosofia, della scienza, delle arti marziali, della storia.

Enola riesce a trovare un piccolo tesoretto lasciatole da sua madre nella grande casa in campagna in cui vivevano e a fuggire verso Londra.

All’inizio del suo viaggio però, si trova davanti a un bivio che permette di capire quanto la ragazza sia differente dai suoi modelli famigliari. L’incontro con il giovane Lord Tewksbury, da subito chiaramente in pericolo di vita, le fa capire quanto l’indole indipendente e distaccatamente egoista che la madre ha cercato di infondere in lei cozzi con la sua natura altruista, pronta ad aiutare gli altri anche a costo di mettere a rischio se stessa.

Interromperà quindi la ricerca della madre per aiutare il giovane e attraente Tewksbury, sul quale pende una generosa taglia, che per motivi misteriosi (non possiamo svelarvi proprio tutto!) qualcuno sta tentando di uccidere.

La recensione

Neo, sei tu?

La trama è accattivante, la fotografia eccellente, gli scorci di Inghilterra scelti perfetti per fare da cornice a una regia che, forse, pecca un po’ di dejavù, di un insieme di già visto a volte gradevole, a volte no. Impossibile non notare i riferimenti stilistici agli indimenticati Sherlock di Guy Ritchie in salsa action: il mix di ironia, esplosioni ed arti marziali tuttavia non convincono e peccano di originalità. Carini e appropriati i flashback e gli intervalli in stile film muto e “teatro di marionette” ma nulla nuovo all’orizzonte.

 

Durante la narrazione, la protagonista rompe la quarta parete, ovvero è spesso narratrice in prima persona e si rivolge

direttamente alla camera per parlare al pubblico. Una scelta pericolosa, che Bobby Brown interpreta però magistralmente e aiuta un po’ ad empatizzare nel momento in cui si sta perdendo un po’ il legame con il personaggio.

Nonostante l’innegabile bravura di Millie Bobby Brown (Stranger Things), Enola manca di quell’ammiccante e seducente spigliatezza che il personaggio richiederebbe e che si è tentato di riprodurre malamente sulle orme della più cinematograficamente conosciuta Irene Adler.

Rachel Mc Adams nei panni di Irina Adler

Inoltre, la sceneggiatura perde di vista tutta l’iniziale enfasi sulla lotta femminista, finendo per relegarla a una sottile trama di fondo – pur concedendogli un giusto lieto fine – per dare più spazio al cliché dell’eroina che si lascia andare alla tenerezza dell’amore per il co-protagonista, nonostante scelga di non rimanergli a fianco.

Anche tutta l’evoluzione che sembrava promettere la prima parte, tra scelte, bivi e irrequietezza giovanile sembra pian piano sfumare in un nulla di fatto.

Niente da dire sull’interpretazione di Sherlock e Mycroft, che comunque rimangono  – e devono farlo – sullo sfondo senza toglierci il gusto di rivedere l’investigatore all’opera (forse noi poveri

fan del personaggio avremmo voluto vederlo di più, ma il protagonista non era lui!). Alla fine si comprende quanto la giovane sorella abbia le potenzialità per battere in bravura il detective di Backer Street.

Invece molto da ridire su Eudoria Holmes: far interpretare un personaggio potenzialmente così forte ad una Helena Bonham Carter (Bellatrix – Harry Potter) che compare per il tempo di un caffè è stato un grosso spreco di opportunità.

In fine, niente finale aperto. Pochi indizi che lascino presagire un seguito e, forse, va bene così. Manca quel piglio che vorremmo vedere negli Holmes. Manca il coraggio e la maturità di affrontare temi sociali ancora attuali in maniera più decisa. Manca di carattere.
Il giorno dopo la distribuzione del film, Millie Bobby Brown e il regista Harry Bradbeer hanno dichiarato di essere pronti per un sequel, ma solo dopo la conferma del successo del primo capitolo.

Un film carino, godibile, non viene voglia di chiuderlo prima della fine, ma senza pretese, colpevolmente privo di spessore che le tematiche trattate richiederebbero. Si poteva e, oggi come oggi, si doveva fare di più.

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